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A cura di Margherita Furlan Con la collaborazione di Jeff Hoffman, Fabio Belli, Gionata Chatillard, Riccardo Castagnari Editing di Gennaro Gargiulo - Giorgio Barbagallo.
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☀️ A cura di Margherita Furlan ☀️ Con la collaborazione di Massimo Mazzucco, Jeff Hoffman, Gianmarco Maotini, Fabio Belli, Gionata Chatillard ☀️ Editing di Gennaro Gargiulo e Mattia Di Nunzio.
DA ANTIMAFIA DUEMILA PUBBLICHIAMO
di Giorgio Bongiovanni e Marta Capaccioni
Il ricordo per una vita consacrata alla lotta contro la mafia del nord Italia
Lunedì scorso, dopo due settimane di ospedale, a causa della grave polmonite accentuata dal Coronavirus, si è spento anche l’ex giudice Francesco Saverio Pavone. Aveva combattuto tante battaglie e soprattutto una, contro la peggiore mafia del Nord, quella dei sequestri, delle estorsioni e delle rapine. Fin da subito, dalla sua entrata in magistratura, aveva iniziato una lotta spietata in prima fila per sconfiggere uno dei cancri indebellabili del nostro Paese. La mafia, come un virus, non era riuscita a sconfiggerlo e lui ce l’aveva fatta.
Così il suo servizio alla nazione, alla giustizia e alla legalità deve essere ricordato, come si ricordano ogni anno tanti magistrati martiri della nostra terra. “Pavone è uomo simbolo della lotta alle mafie e alla criminalità organizzata in Veneto”, ha detto Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto.
Quando diventò giudice istruttore iniziò le indagini nella regione Veneta contro la Mala del Brenta, ossia la mafia autoctona del nord Italia. E il 1 luglio 1994 arrivò la prima sentenza che, confermata fino al grado di giudizio di Cassazione, riconobbe il delitto di associazione mafiosa. Quindi finalmente si ammetteva che la mafia esisteva anche al nord!
Si trattava di un’organizzazione che gestiva tutto il gioco d’azzardo di Veneto, Modena e Jugoslavia, dedita al traffico di armi e stupefacenti, tanto importante nell’importazione di cocaina, da ricevere richieste anche da Camorra e 'Ndrangheta.
Pavone diventò presto acerrimo nemico del boss Felice Maniero, detto anche “Faccia d’angelo”. La più grande soddisfazione per il magistrato arrivò quando riuscì a catturare il mafioso e quando grazie al pentimento di quest’ultimo riuscì a condannare altri centinaia di mafiosi.
Non aveva paura, nemmeno quando venne a conoscenza dai carabinieri di un attentato in corso nei suoi confronti. Continuò la sua lotta, in maniera decisa e non risparmiò nessuno. Fu costretto infatti, così come accade tuttora a tanti magistrati italiani, a vivere sotto scorta per 17 anni, fino al 2006. E anche quei compagni, al suo fianco in ogni momento, hanno voluto salutare un’ultima volta il giudice con cui hanno potuto vivere tante esperienze della loro vita. "Quante giornate e kilometri passati assieme, ora che ci hai lasciato, sentiamo già la tua mancanza. Rimani nei nostri cuori ed un pensiero va alla tua famiglia. Buon viaggio Doc, perché per noi da oggi e per sempre rimarrai nei nostri cuori", ha detto Bortolami Luigino a cui si è aggiunto Gilberto Barbon, dicendo “oggi Venezia perde un grande magistrato e uomo che tanto ha dato alla giustizia di questa città, un magistrato che ha combattuto in prima linea l’unica mafia nata fuori dalla Sicilia mettendo a repentaglio la sua vita. Ho avuto assieme ad altri colleghi l’onore di garantirne l’incolumità e sicurezza per molti anni. Ciao Doc”.
Fu un grande servizio quello svolto dall’ex giudice istruttore, in difesa della legalità e della democrazia del nostro paese. Un servizio che non può essere dimenticato. Così come non può essere dimenticata la sua conoscenza molto stretta con il giudice Giovanni Falcone. Con quest’ultimo infatti Pavone iniziò una collaborazione negli anni '80, nell’intento di unire, insieme anche ad altri magistrati d’Italia, le indagini sulla criminalità organizzata delle diverse procure. Un’attività che poi, per impegni e per spese eccessive, morì.
Il giudice veneziano però ricordava sempre quell’incontro mancato con Falcone proprio il giorno della sua morte, il 23 maggio 1992. Un incontro rimandato al mercoledì successivo, che poi come sappiamo, non ha mai avuto un seguito.
Come accade raramente, per il suo lavoro Pavone veniva addirittura stimato da alcuni criminali. E come ricordano i colleghi, anche di polizia, che hanno lavorato al suo fianco per raggiungere un unico obiettivo, come Cristina Casagrande, il giudice “oltre ad essere l’Uomo austero e tutto d’un pezzo, quale la sua figura imponeva, era anche un uomo spiritoso e divertente, come forse pochi se lo immaginano”.
Infine anche Bruno Pigozzo, vicepresidente del Consiglio regionale del Veneto, si è espresso dicendo che la vita fu completamente dedicata alla legalità. E questa è “una lezione che non dimenticheremo”.
Sì, è una lezione che soprattutto in questo momento storico non possiamo permetterci di dimenticare. E scriveremo il suo nome sotto la lista degli uomini giusti della nostra Nazione, che rischiarono la loro vita per proteggere noi, tutti i cittadini italiani.
Così anche noi, come redazione di ANTIMAFIADuemila, ci uniamo al ricordo del giudice Pavone e siamo vicini a tutta la sua famiglia. La promessa è che continueremo a lottare con ogni nostro sforzo per un’Italia pulita dalla violenza, dalla criminalità e dalla corruzione, cercando in ogni modo di portare alto l’ideale che mosse anche lo spirito di Francesco Pavone, quello di verità e di giustizia.
FUNIMA International ha organizzato una spedizione a Santa Victoria Este, nella foresta del Chaco argentino, invitando alla partecipazione, ong locali, fondazioni e organi istituzionali per vivere momenti di confronto, scambiare informazioni e presentare le proprie attività progettuali a favore delle comunità originarie.
PROGRAMMA IN LINGUA SPAGNOLA
Por Redacción de Antimafia Dos Mil-19 de noviembre de 2019
La realización documental (que se catapulta a nuestros lectores) constituye nuestro profundo compromiso (en medio de una Latinoamérica que vive horas de dolor y de incertidumbres, con desaparecidos, muertos, heridos y detenidos) con la idea de crear conciencia de que los terrorismos de Estado de los días del Plan Cóndor, están presentes (literalmente devorando a los pueblos) con el rótulo de democracias resplandecientes: falsas democracias. Su título lo resume todo: “Latinoamérica se desangra”. Un muy oportuno (y frontal) guión de los periodistas Jean Georges Almendras y Giorgio Bongiovanni y una bien trabajada edición (sensibilizadora) de Érika Pais, dan como resultado un muy buen documental político (exclusivamente de denuncia) que entendemos, nos representa y nos confronta con el avance del fascismo en América Latina. Una confrontación que nos lleva directamente a adoptar caminos de resistencia y de unión, estrechando filas que impidan que los fascismos criminales sigan posicionándose dramáticamente. Un fascismo que no conoce de fronteras y que se enmascara de una institucionalidad aparente, cuando en realidad no es más que un ave de rapiña inspirado en los fantasmas de los genocidas de los días del terror: Rafael Videla, Emilio Massera, Alfredo Stroessner, Augusto Pinochet y Gregorio Álvarez . Días del terror que creíamos distantes. Que creíamos en el pasado. Pero en contrario, ahora los días del terror están presentes, de la mano de figuras no menos tenebrosas que las del pasado. Figuras como Sebastián Piñera, Jair Bolsonaro, Mauricio Macri, entre otras. El documental hace que la dura reflexión ciudadana salga a la superficie, para sembrar conciencia y para entender o comprender que los recientes acontecimientos en Chile, por ejemplo, están íntimamente ligados a otros acontecimientos dentro de tierras americanas, en los cuales la intromisión de los estados unidos no están ausentes. Denuncia en el texto, muy buenas imágenes y agilidad en la realización hacen de este documental una herramienta indispensable para poder despertar del letargo a quienes optan por los individualismos del capitalismo y desprecian las libertades, los derechos humanos, y a los pueblos oprimidos, a los pueblos originarios, a las minorías, a las luchas sociales, y a quienes se comprometen con los movimientos defensores de las minorías y de la soberanía de los pueblos, y a quienes se oponen al neoliberalismo devorador de vidas, que impone siempre el imperio del Norte. “Latinoamérica se desangra” es una propuesta militante, de los redactores de Antimafia Dos Mil y de Antimafia Duemila, de Sudamérica e Italia, respectivamente.
“La ‘Ndrangheta è un'enorme holding mafiosa, organizzata come una moderna blockchain criminale”
di AMDuemila
“Le mafie sono una minaccia molto seria per il sistema economico mondiale. Avendo enormi capitali da investire, le grandi, mafie, la ‘Ndrangheta in particolare, sono protagoniste di importanti movimentazioni finanziarie, generano meccanismi pericolosissimi che tendono ad alterare gli equilibri del mercato”. E’ così che si è espresso il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo riguardo il rischio che rappresentano le mafie per l’economia finanziaria mondiale in un’intervista al settimanale “Il Venerdì”. Il magistrato, spiegato cosa sia il capitalismo mafioso, ha detto che “la ‘Ndrangheta è da tempo protagonista assoluta del narcotraffico mondiale, che cura con particolare attenzione perché genera eccezionali profitti da sfruttare attraverso strumenti finanziari sempre più evoluti, straordinariamente insidiosi per la loro capacità di inserirsi in abiti operativi non tradizionali e di condizionare anche le scelte di politica economica”. Per Lombardo la crimintalità organizzata calabrese si è “dimostrata ‘affidabile’ e questo ha generato un impareggiabile capitale sociale fatto di contatti e relazioni. - ha proseguito - Per questo, per trovare il vero patrimonio della ‘Ndrangheta, dobbiamo essere in grado di analizzare a fondo le tendenze finanziarie andando oltre le tracce documentali su cui basava fino a qualche anno fa”.
Secondo il magistrato calabrese il vero “tesoro” della ‘Ndrangheta non sono tanto i beni che vengono posti sotto sequestro, in quanto “i grandi capitali non saranno mai direttamente spendibili o collocabili sul mercato senza passare da complesse operazioni di ripulitura". Lombardo ha poi precisato che "non può sopravvivere un sistema criminale che non sia in grado di produrre profitti a favore delle sue articolazioni di più basso livello, perché le ricadute economiche verso il territorio d’origine e ‘i soldati’ sono indispensabili per generare consenso e reclutare forze nuove. - ha continuato il pm - Ma i picciotti di Reggio Calabria, di San Luca o di Rosarno, come di altri territori in Italia o all’estero, dell’enorme ricchezza che arriva dal traffico di droga intravedono solo gli spiccioli”.
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha poi spiegato
come si manifesta il “sistema criminale evoluto” che sarebbe in grado “di gestire ampi territori che vivono di mafia e di indotto mafioso”, accanto al mafioso “ci sono soggetti non mafiosi”. “Tutto dipende dalla capacità di soggetti che ricoprono posizioni apicali, abilitati a collocare sul mercato quegli enormi capitali, - ha spiegato - di operare scelte in grado di innescare un meccanismo ciclico che, attraverso passaggi spesso riferibili a interlocutori esterni, risulti in grado di generare vantaggi concreti anche per la base”. Secondo Lombardo oggi la ‘Ndrangheta è “un'enorme holding mafiosa, organizzata come una moderna blockchain criminale, una catena di blocchi che si sviluppa su una struttura di fatto immutabile, capace di operare indipendentemente dalla conoscenza reciproca delle singole tessere che la compongono”. Dunque per il magistrato la ‘Ndrangheta funzionerebbe come una struttura di “valute virtuali” che “agisce globalmente sulla base di un protocollo criminale condiviso a monte”. Infatti, le decisioni verrebbero prese “nella casa madre calabrese” che una volta approvate vanno ad “aggiornare” le “nuove componenti funzionali (non solo in Italia)”. In conclusione, il pm ha spiegato come contrastare questo “sistema criminale”: “Va impedito che le mafie portino avanti la loro strisciante e silenziosa funzione di stabilizzazione sociale, avvalendosi del sostegno dei tanti che si avvantaggiano del grande impegno di capitali sporchi. Per fare questo vanno messi in campo interventi urgenti, non solo giudiziari, che devono andar ben oltre l’impegno ordinario”.
Foto © Imagoeconomica
di Matias Guffanti - Video
Dopo 30 anni di politiche restrittive nei confronti delle fasce meno abbienti e a tutto vantaggio delle famiglie più ricche del Paese il popolo cileno, capitanato dagli studenti e dai movimenti sociali si è recentemente ribellato all'attuale Presidente Sebastiàn Piñera. Una rivolta esplosa in seguito all'aumento del prezzo della metro, solo la scintilla che ha scatenato la reazione dei manifestanti scesi in strada per chiedere la fine del modello neoliberista attuato da diversi governi - sia di destra che di sinistra - dai tempi della dittatura di Augusto Pinochet fino ai giorni nostri.
Già da qualche tempo infatti gli studenti, in segno di protesta, avevano iniziato ad utilizzare la metropolitana senza pagare il biglietto, mentre in differenti zone della città si erano registrati anomali incendi e saccheggi nei centri commerciali. Episodi per i quali erano state ritenute responsabili le forze di sicurezza, ma che in seguito allo scoppio della protesta erano stati strumentalizzati al fine di giustificare la grande repressione messa in atto contro i manifestanti.
Anche i “cacerolazos” - caratteristici delle proteste in Sudamerica, che esprimono il loro pacifico dissenso e chiedono condizioni di vita più dignitose percuotendo coralmente comuni oggetti da cucina - si sono fatti subito sentire in tutto il Cile. Tanto che il governo ha deciso di rispondere con ancor maggiore violenza e repressione.
In seguito alle proteste il Presidente ha infatti dichiarato lo Stato d'emergenza, cedendo il controllo del Paese alle Forze Armate. Successivamente ha annunciato il coprifuoco vietando la libera circolazione dei cittadini per le strade e/o la permanenza in luoghi pubblici soprattutto negli orari comunicati, giorno per giorno, dallo stesso governo.
Da allora si sono registrate decine di morti, sparizioni di persone, stupri di donne, torture ad adulti, giovani e perfino bambini, rapimenti illegali e violenze assolutamente ingiustificate che hanno causato ferite gravi a migliaia di manifestanti pacifici.
Nonostante tutto questo il popolo non si è fermato. E lo scorso 25 ottobre il Presidente Sebastiàn Piñera si è trovato di fronte alla più grande manifestazione nella storia del Paese, con oltre un milione di persone scese in strada. Una situazione che lo ha costretto, nel tentativo di frenare la protesta, ad eliminare lo stato d'emergenza e il coprifuoco e a promettere, tra le altre cose, miglioramenti dei salari e delle pensioni e abbassamento delle tasse. Mentre ha provveduto alla sostituzione di otto ministri del suo Governo.
Misure che, lungi dal tranquillizzare la situazione, sono apparse come una beffarda provocazione. Un tentativo, quello del Presidente, di lavarsi dalle mani il sangue che lo rende responsabile e colpevole di tutte le violazioni ai diritti umani che il suo Paese è tornato a vivere, così come accadde nel 1973.
Non è sufficiente cambiare otto ministri per sostituirli, tra l'altro, con altri politici che sono parte della sua stessa cerchia di conoscenze di estrema destra.
Non bastano le promesse di un salario migliore o di una più alta pensione per cancellare le tante persone scomparse, torturate e assassinate in un presunto “Paese democratico” del 21esimo secolo.
Non è sufficiente nessuna misura politica se il dittatore Piñera non si dimette e non si sottomette al giudizio come massimo responsabile, insieme a tutta la sua squadra di governo, dei tanti crimini commessi. E se non vengono attuati i cambiamenti che il popolo chiede, dal Cile e dal mondo intero.
Anche noi chiediamo, uniti al popolo cileno, un'assemblea costituente per una nuova Costituzione; indipendenza dall'economia statunitense; plebiscito e democrazia diretta; indagini approfondite, condotte da una giustizia indipendente, sulla corruzione di politici e di importanti famiglie che detengono il potere in Cile; redistribuzione della ricchezza; rispetto per i nativi e per la loro cultura e restituzione delle loro terre; politiche di rafforzamento dei diritti umani.
Sappiamo che Piñera risponde a interessi statunitensi e chiediamo che confessi tutto ciò che sa sui veri mandanti esterni della militarizzazione di tutta l'America latina. Militarizzazione che ripudiamo e segnaliamo come il maggiore nemico del popolo.
Siamo con il Cile e con tutte le società in lotta, in Sudamerica e nel mondo, contro il potere. La coscienza del popolo è più forte di qualsiasi esercito e il sangue dei martiri, passati e presenti, ci insegna che la vittoria è già nostra. Che le idee di una società giusta vincono la morte e la sconfiggeranno fino a quando, quelle idee, non diventino realtà. E quel momento è arrivato.
Tratto da: ourvoice.it
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